Michael Roston, staff editor di New York Times, ha condiviso alcune delle lezioni apprese nell’ultimo anno dalla gestione dell’account Twitter dellla testata, che vanta 15 milioni di followers.
1. Non cercare di accontentare per forza Twitter. È chiaro che l’impegno è sempre quello di massimizzare la resa del lavoro giornalistico veicolandolo al meglio attraverso i social, ma non bisogna forzare la mano. Chi lavora nelle redazioni spesso fa titoli che vanno già benissimo per essere riproposti. Non è necessario forzare la mano. Ne è un esempio un articolo uscito la sera con il titolo simile a quello del giornale
One Day in an Elevator With Obama, Then Out of a Job http://t.co/C3NM9HooUE
— The New York Times (@nytimes) 3 Novembre 2014
Ricondiviso il giorno dopo con un linguaggio più Twitter-friendly
A C.D.C. security guard was fired after operating an elevator carrying President Obama http://t.co/D5YqVMdr4T
— The New York Times (@nytimes) 3 Novembre 2014
La performance sono state migliori nel primo caso.
2. Le immagini sono importanti e aiutano l’engagement, ma al New York Times questo non supera altre esigenze, prima su tutte mettere in risalto il giornalismo del sito, e della testata tutta. Questo ha portato un processo di comprensione su quale strategia fosse migliore. Prima veniva inserito il credit del fotografo nel tweet stesso, ma questa la soluzione rubava parole al tweet stesso e non garantiva il fotografo, visto che poteva essere facilmente tagliato in un retweet, per esempio.
Alla fine, dopo altri tentativi di firma sulla foto, gli sviluppatori di Interactive News del NYT hanno creato uno strumento di watermark facile da usare per chiunque del social media team si trovasse a pubblicare una foto.
For the first time, more Americans support gun rights over gun control http://t.co/Yjzbo1yufQ pic.twitter.com/LAGoPaFejq
— The New York Times (@nytimes) 11 Dicembre 2014
3. Video. Anche in questo caso, spesso ciò che ha richiesto più sforzo, non è detto che porti risultati migliori. Ne è l’esempio il video dell’uomo sopravvissuto al massacro in Iraq. Il primo tweet, con incorporato un trailer, è andato peggio di quello che conteneva solo un fermo immagine.
The only known survivor of an ISIS massacre tells his story (warning graphic video): http://t.co/EIohT3aEn6 http://t.co/4i39ops934
— The New York Times (@nytimes) 4 Settembre 2014
Un approccio più semplice talvolta produce risultati migliori.
The only known survivor of an ISIS massacre in Iraq tells his story (warning: graphic video) http://t.co/BA4n35tdEg pic.twitter.com/TY1YwP2bs8
— The New York Times (@nytimes) 4 Settembre 2014
4. Evitare di focalizzarsi sul proprio lavoro, ma portare i lettori nella storia. È successo che nel lanciare un documentaria in serie, magari particolarmente multimediale, la testata sia stata più didascalica nel tweet. Ma la spiegazione che ne esaltava le caratteristiche multimediali ha coinvolto meno persone del tweet che in poche parole ha tirato dentro il lettore nella storia.
5. Rapporto con chi critica. Per adesso il NYT si è tenuto fuori da un certo tipo di “mischia”, ma per il 2015 pensa di trovare un modo adeguato per rispondere, attraverso i social media, alle critiche che raggiungono la testata inerenti il giornalismo.
6. La capacità di essere pronti a seguire passo passo gli eventi, anche di cronaca, è premiata. L’account del giornale ha ricevuto ottime soddisfazione non solo sugli eventi programmati, ma anche per la prontezza di riflessi nel seguire eventi di cronaca.
Breaking News: Autopsy Shows Michael Brown Was Struck at Least 6 Times http://t.co/T17F2bwd0y
— The New York Times (@nytimes) 18 Agosto 2014
7. Sapersi divertire. Il New York Times non perde tempo con post dai facili clic, ma non ci si può prendere sempre sul serio. Quindi, ogni tanto è il caso di stemperare un po’.
A brief history of kissing in movies http://t.co/a7uClvbUat pic.twitter.com/HE19lusyii
— The New York Times (@nytimes) 11 Dicembre 2014
Fonte: Wired